mercoledì 31 luglio 2013

Tutti gli errori della sinistra: ce li spiega De Gregori, lucido come nessun'altro.

E' sorprendente come, leggendo l'intervista di oggi sul Corriere della Sera del cantautore Francesco De Gregori, considerato il cantante "impegnato" per eccellenza, e, ça va sans dire, di sinistra, si possano trovare, con una chiarezza e una lapidarietà senza pari, gli errori, i falsi miti, i feticci che la sinistra degli ultimi anni ha adorato, e che non l'hanno portata a nient'altro che alla sconfitta in elezioni già vinte. Ecco una definizione della sinistra di oggi, politica e sociale:
"La sinistra oggi è un arco cangiante che va dall'idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del "politicamente corretto", una moda americana di trent'anni fa, e della "Costituzione più bella del mondo". Che si commuove per lo slow food e poi magari, "en passant", strizza l'occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me."
Sempre a proposito di Grillo, e del miraggio piddino di un "governo del cambiamento" con i cinque stelle, ecco l'opinione di De Gregori:
"Questo governo non piace a nessuno. Ma credo fosse l'unico possibile. Ringrazio Dio che non si sia fatto un governo con Grillo e magari un referendum per uscire dall'euro... Ho trovato inquietante la campagna di Grillo, il suo modo di essere e di porsi, il rifiuto del confronto, le adunate oceaniche... Molti elettori e molti eletti del M5S sono sicuramente persone degne e capaci di fare politica. Ma questa idea della Rete come palingenesi e istituzione iperdemocratica mi ricorda i romanzi di Urania."
Anche sull'idea di "inciucio" col nemico, un classico spauracchio della "base", o meglio, di ciò che i giornali dipingono come base del Pd, De Gregori ha una sua idea:
"Sono stufo del fatto che, appena si cerca un accordo su una riforma, subito da sinistra si gridi all'"inciucio", al tradimento. Basta con queste sciocchezze. Basta con l'ansia di non avere nemici a sinistra... Ho votato Pci quando era comunista anche Napolitano. Ma viene il momento in cui la realtà cambia le cose, bisogna distaccarsi da alcune vecchie certezze, lasciare la ciambella di salvataggio ed essere liberi di nuotare, non abbandonando per questo la tua terra d'origine. Non ce la faccio più a sentir recitare la solita solfa "Dì qualcosa di sinistra"... Proviamo piuttosto a dire qualcosa di sensato, di importante, di nuovo. Magari scopriremo che è anche di sinistra"
E l'antiberlusconiano De Gregori, dopo aver detto la sua idea riguardo al Cav, tratteggia anche lì il tragico errore della sinistra nostrana:
"Berlusconi era inadatto a governare l'Italia. Mi chiedo però anche se l'Italia sia adatta a essere governata da qualcuno... Però, guardi, ho seguito con crescente fastidio e disinteresse l'accanimento sulla sua vita privata. Forse potevamo farci qualche domanda in meno su Noemi e qualcuna di più sull'Ilva di Taranto? Pensare di eliminare Berlusconi per via giudiziaria credo sia stato il più grande errore di questa sinistra. Meglio sarebbe stato elaborare un progetto credibile di riforma della società e competere con lui su temi concreti, invece di gingillarsi a chiamarlo Caimano e coltivare l'ossessione di vederlo in galera... mi irrita sentir parlare di "regime berlusconiano": è una falsa rappresentazione, oltre che una mancanza di rispetto per gli oppositori di Castro o di Putin che stanno in carcere."
E infatti la contraddizione della sinistra sull'"anomalia" berlusconiana viene in gioco proprio oggi, giorno della sentenza della Cassazione sul processo Mediaset, una sinistra lacerata tra il desiderio di vedere il rivale di sempre al gabbio, eliminato per via giudiziaria, e il timore che, in caso di scomparsa dalla politica dell'ex-premier, crollerebbe anche questo Pd e questa sinistra, vissuto per anni nella comodità di non aver nulla da dire se non "Berlusconi dimettiti" e "Smacchiamo il giaguaro", che si ritroverebbe di colpo a faccia a faccia con una realtà diversa dalle sue false rappresentazioni. Anche perchè, prima e al di là del "Caimano" Berlusconi, c'è il paese, e De Gregori l'ha capito, il Pd no. Ricordate come a fine 2011 il Pd sfruttò la crisi europea, la Merkel, lo spread, per far fuori il governo Berlusconi? Ebbene, ecco cosa ne pensa il cantautore:
"Il mio amore per l'Italia, e per gli italiani, non è in discussione. Sono stato berlusconiano solo per trenta secondi in vita mia: quando ho visto i sorrisi di scherno di Merkel e Sarkozy"



domenica 28 luglio 2013

La spesa facile che non indigna

Un editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di oggi ha centrato il punto della crisi italiana: la malintesa austerità fatta di più tasse e più spesa, senza tagli ai burocrati di stato, ma solo con nuovi pesi che i cittadini devono portare sulle spalle. Fintanto che il grande partito della spesa non verrà sconfitto, l'Italia non avrà un futuro. Ma la difficoltà vera è che, nella situazione politico sociale del momento, non si vedono nè forze politiche e leader in grado di puntare su un vero taglio della spesa pubblica, nè la coscienza dell'opinione pubblica del male che un tale livello di denaro controllato dallo Stato causi all'Italia e al futuro di tutti noi. Tanto più che, ogni minimo tentativo, viene bloccato, ostacolato, rimosso, e uno dei protagonisti di questo blocco è la Corte Costituzionale:
Le reazioni del partito della spesa pubblica di fronte alla affermazione di buon senso, e inoppugnabilmente vera, del viceministro all'Economia Stefano Fassina secondo cui esiste, accanto a una evasione indotta da avidità e mancanza di senso civico, anche una evasione fiscale «di sopravvivenza», sembrano dettate dall'arroganza: quella tipica arroganza che è propria di chi, ritenendosi fortissimo, può permettersi il lusso di ringhiare davanti a qualche timido distinguo dalla linea dominante e vincente.
C'è il forte sospetto che sia ormai inutile continuare a ripetere, come facciamo da anni, la solita litania: «Bisogna ridurre la spesa pubblica al fine di abbassare le tasse e rilanciare così la crescita».
 Il partito della spesa pubblica non ha alcun interesse alla crescita perché non può accettare che spese e tasse scendano. Fino a oggi, quel partito si è rivelato fortissimo, imbattibile. Ci sono due possibili spiegazioni, non necessariamente incompatibili fra loro, di tale imbattibilità. La prima ha a che fare con le «quantità» e la seconda con la «qualità». La spiegazione quantitativa dice che i numeri sono a favore del partito della spesa pubblica: coloro che vivono di spesa sopravanzano ogni altro gruppo e rappresentano, sul piano elettorale, una «minoranza di blocco» ai cui veti nessun governo, quale che ne sia il colore, può resistere. La spiegazione qualitativa fa riferimento all'esistenza di «cani da guardia», di istituzioni strategicamente collocate che si sono assunte il compito di salvaguardare gli interessi facenti capo al partito della spesa pubblica. Per esempio, guardando a certe sentenze della Corte costituzionale, si può essere colti dal sospetto che sia addirittura «incostituzionale» ridurre la spesa pubblica (e quindi le tasse), ossia che, per il nostro ordinamento, quelle due grandezze possano solo crescere, mai diminuire. Più in generale, c'è una intera infrastruttura amministrativa (alta burocrazia, magistrature amministrative) che regge e dà continuità alla azione dello Stato, che sembra chiusa a riccio nella difesa di un equilibrio politico e sociale fondato sulla incomprimibilità della spesa e su tasse altissime. La debolezza della politica fa poi il resto, rende impossibili interventi capaci di vincere le resistenze burocratiche e lobbistiche e invertire la rotta.
Lorenzo Bini Smaghi (Corriere , 27 luglio) ha osservato che nella lettera della Bce all'Italia di due anni fa si chiedevano riforme strutturali (tese appunto a ridurre la spesa pubblica). Non potendo, non volendo, o non sapendo, fare quelle riforme, noi rispondemmo aumentando le tasse e perciò spingendo ancor di più il Paese nella spirale della depressione.
Sulla carta, il governo Monti era nella condizione migliore per ridurre la spesa. Per sua natura, non dipendeva dal consenso elettorale e, inoltre, avrebbe potuto imporre le riforme ai partiti sfruttando la condizione d'emergenza in cui si trovava il Paese.
Perché non ci riuscì? Perché accrebbe ulteriormente una pressione fiscale già altissima? Non è forse perché gli ostacoli erano talmente grandi, e le forze contrarie così potenti, da non poter prendere in considerazione alcuna altra linea di condotta se non quella che venne effettivamente perseguita?
Sarebbe bello vivere in un Paese fondato su un regime di tasse basse ove non esistesse l'evasione da sopravvivenza e dove fosse possibile scaricare uguale riprovazione morale sugli evasori fiscali e su coloro che fanno un uso non strettamente necessario, non giustificato dalla funzione sociale assolta, dei soldi pubblici. Viviamo invece in un Paese in cui spese e tasse si rincorrono senza fine lungo una strada in salita. Sorvegliate amorevolmente da cani da guardia indifferenti alla decadenza economica del Paese. Ai membri del partito della spesa pubblica bisognerebbe dire: grazie a voi siamo oberati di tasse e non intravvediamo un bel futuro per i nostri figli. Abbiate almeno la decenza di non ringhiare.
La spesa facile che non indigna - Angelo Panebianco

giovedì 25 luglio 2013

Referendum per la giustizia giusta, un'analisi del contenuto / 1

E' partita da qualche settimana la raccolta firme per 12 referendum promossi in prima istanza dai Radicali, ma sostenuti anche da molti altri movimenti e associazioni, sei dei quali affrontano in mondo esplicito il tema della giustizia "giusta", mentre altri sei riguardano temi più generali nell'ambito della legalità e della democrazia. 
Già il fatto che il tema della giustizia, assente dal dibattito politico in termini generali, che spunta fuori solo in occasione di singole sentenze ad hoc contro questo o quello, venga affrontato in modo sistemico, per cercare di risolvere gli enormi problemi, le gigantesche storture e i gravissimi danni che la cattiva giustizia provoca all'intero sistema paese, e venga affrontato nelle piazze, a diretto contatto con i cittadini, perchè ci si possa esprimere con l'unico strumento di democrazia diretta, il referendum, è un'iniezione di vitalità democratica, soprattutto perchè affronta anche temi scomodi rispetto al pensiero unico giustizialista.
E non è vero che la giustizia è un tema secondario rispetto all'economia, che non interessa i cittadini, che va messo in soffitta in questo momento. E non sono soltanto i numeri, già di per sè eloquenti, a dirlo, con i nove milioni di procedimenti, penali e civili, arretrati, e le  1095 violazioni italiane al diritto alla ragionevole durata del processo, garantito dall’articolo 6 Cedu, sancite dalla Corte di Strasburgo. No, c'è di più. La giustizia investe i beni primari dell'uomo, la sua libertà personale e il suo patrimonio, la sua libertà di intraprendere attività e progetti liberamente. Non è un caso se tutte le rivolte contro gli abusi dello Stato che hanno portato a documenti solenni, in tali documenti abbiamo limitato il potere sovrano in due ambiti, sopra gli altri: l'imposizione fiscale, e l'utilizzo arbitrario della giustizia, dalla Magna Charta del 1215, in giù. Insomma, non c'è libertà senza giustizia.
L'auspicio è che, in questa occasione, riesca a farsi largo un dibattito, tra l'opinione pubblica, senza pregiudizi, semplificazioni ed ideologie preconfezionate, ma sul contenuto delle proposte referendarie, che è bene conoscere nella loro portata, perchè, parafrasando Luigi Einaudi, è necessario "conoscere per deliberare".
Ecco allora che vorrei analizzare il contenuto di ogni singolo quesito, nei post successivi a questo, con le sue implicazioni e conseguenze, e quanto inciderebbe sulla realtà attuale.

Riscendiamo in campo?

Provo a riattivare DirettaMente, vediamo se questa volta il tentativo del blog durerà più di 19 post! Certo, sarà tutta un'altra cosa, immagino, come d'altronde sono diverso io, da allora, e come è profondamente diversa la realtà. 
Occupandosi prevalentemente di politica e attualità, eravamo a fine 2011, appena caduto il governo Berlusconi e insediatosi il governo Monti, ed io ero ancora un, seppur critico, sostenitore del PdL. 
Nel frattempo, crisi, elezioni, riforme fatte e non fatte, tasse messe e mai tolte, spese mai veramente tagliate, hanno portato a questo 25 luglio 2013 in cui, ancora non si vede la famosa e tanto agognata "luce in fondo al tunnel". 
Quello che, a mio modo di vedere, non cambia, sono le ricette di cui il paese ha bisogno, le cure da cavallo in pressochè ogni ambito in cui lo stato, con il suo intervento tentacolare, soffoca e stritola ogni minimo spazio di autonomia e libetà dell'individuo e della società civile. 
E allora, riscendiamo in campo e ricominciamo a dire qualche cosa, sempre senza giri di parole, ma tagliente e dritta al punto!